L’uso quotidiano dei taglieri in plastica potrebbe esporci a microplastiche e sostanze chimiche. Ecco cosa dicono gli studi, i rischi per la salute e le alternative più sicure.

In ogni cucina, il tagliere è un oggetto indispensabile. Negli ultimi anni, quelli in plastica hanno progressivamente sostituito i modelli in legno, grazie alla loro praticità, al basso costo e alla maggiore igiene percepita. Tuttavia, proprio questi strumenti di uso quotidiano sono finiti sotto osservazione da parte della comunità scientifica.
Studi recenti, tra cui un’inchiesta ripresa da Time, hanno evidenziato come i taglieri in plastica possano rilasciare centinaia di microplastiche a ogni taglio. Secondo alcune stime, ogni volta che si affetta un alimento, tra 100 e 300 microplastiche possono essere generate dal contatto con il coltello. Una parte rimane sul tagliere, finendo poi nelle acque reflue. L’altra, invece, si deposita direttamente sul cibo.
Un team dell’Università del Nord Dakota ha calcolato che, nel corso di un anno, il consumo abituale di ortaggi tagliati su taglieri in plastica può comportare un’assunzione non trascurabile di microplastiche. Anche se non tutte vengono assorbite dall’organismo – molte hanno dimensioni superiori ai 10-15 micrometri, e quindi verrebbero espulse – il tema rimane aperto.
Plastica e alimenti: un’interazione più complessa del previsto
La questione non si limita alla sola presenza fisica di microplastiche nei cibi. I materiali plastici contengono additivi chimici – plastificanti, coloranti, stabilizzanti – che possono migrare più facilmente negli alimenti in presenza di calore o grassi. La cucina, ambiente per eccellenza di trasformazione termica, diventa quindi un terreno fertile per queste contaminazioni invisibili.
Ad esempio, tagliare un alimento caldo su un tagliere in plastica, come accade spesso nei ristoranti, può favorire il rilascio di composti chimici. Allo stesso modo, cibi ricchi di oli o grassi, come formaggi e salumi, possono accelerare il trasferimento di sostanze indesiderate. E se si pensa che un semplice lavaggio basti a rimuoverle, alcuni studi – come quello condotto negli Emirati Arabi Uniti – dimostrano che il risciacquo dopo il taglio ha un’efficacia limitata.
Anche il tipo di taglio e l’età del tagliere incidono: un tagliere usurato o esposto a lavaggi frequenti, calore o detersivi tende a rilasciare più microplastiche e sostanze. In breve, l’interazione tra tagliere, cibo e preparazione è più complessa di quanto sembri.

Dati sperimentali: cosa succede negli animali
Le prove dirette sugli esseri umani, per ora, sono scarse. Tuttavia, studi su modelli animali forniscono alcuni indizi. In un esperimento su topi alimentati per mesi con cibi lavorati su taglieri in plastica, si sono osservati segni di infiammazione intestinale e disbiosi, ovvero alterazioni del microbiota. Al contrario, nei topi che hanno ricevuto alimenti preparati su taglieri in legno, questi effetti non sono comparsi.
Curiosamente, in entrambi i gruppi non sono state trovate tracce evidenti di microplastiche nell’organismo. Questo fa pensare che il danno non derivi tanto dalle particelle in sé, quanto dalle sostanze rilasciate dalla plastica durante l’uso. Alcuni composti chimici sembrerebbero in grado di innescare reazioni a livello intestinale anche in assenza di un accumulo misurabile di frammenti.
Questi risultati suggeriscono che l’attenzione dovrebbe concentrarsi non solo sulla quantità di microplastiche ingerite, ma anche sulla qualità e sulla natura chimica dei materiali con cui entriamo in contatto durante la preparazione dei pasti.
Alternative ai taglieri in plastica: cosa scegliere?
Il legno rappresenta l’opzione più naturale, ma non è esente da problemi. È un materiale poroso, tende ad assorbire umidità e può favorire la proliferazione batterica, soprattutto se non viene pulito con attenzione. Inoltre, il lavaggio in lavastoviglie ne compromette la struttura, motivo per cui è sconsigliato. Le micro-schegge di legno che si staccano durante il taglio, però, non sembrano rappresentare un pericolo per la salute, essendo di origine vegetale e compatibili con il tratto digestivo.
Un compromesso efficace, secondo gli esperti, può essere usare un tagliere in plastica solo per la carne e il pesce crudi – dove l’igiene è più critica – e uno in legno per tutto il resto. Fondamentale, in entrambi i casi, è sostituire il tagliere quando compaiono fessure o scolorimenti, che segnalano un possibile degrado del materiale o la presenza di batteri.
Altre opzioni, come i taglieri in vetro, acciaio o bamboo, stanno guadagnando popolarità. Il vetro e l’acciaio sono facili da pulire e resistenti, ma possono rovinare i coltelli. Il bamboo, pur essendo una fibra vegetale, può contenere colle per uso alimentare che vanno anch’esse considerate nel bilancio dei rischi.

