Allerta dell’Efsa sui casi record tra gli uccelli selvatici. Gli allevatori rassicurano: focolai contenuti e nessun rischio per i consumatori.

L’autunno 2025 ha segnato un nuovo picco per l’influenza aviaria ad alta patogenicità (HPAI) in Europa. Secondo l’ultimo rapporto dell’Efsa, tra il 6 settembre e il 14 novembre sono stati rilevati 1.443 casi tra gli uccelli selvatici, quadruplicando il numero registrato nello stesso periodo del 2024. È il dato più elevato almeno dal 2016 per quelle settimane.
Il virus HPAI A(H5N1), in particolare nella nuova variante EA-2024-DI.2.1, ha colpito soprattutto specie acquatiche – anatre, cigni, oche – e numerose gru comuni lungo le rotte migratorie che attraversano l’Europa da nord-est a sud-ovest. L’elevata circolazione virale e la contaminazione ambientale spingono l’Efsa a chiedere misure urgenti di biosicurezza e rilevamento precoce, per evitare il passaggio del virus dagli uccelli selvatici a quelli da allevamento.
Italia vigile, contagi sotto controllo: solo 15 focolai negli allevamenti commerciali
In un contesto europeo segnato dall’emergenza, l’Italia si distingue per la gestione efficace dei focolai. Secondo Unaitalia, l’associazione di riferimento del comparto avicolo, i casi rilevati nel nostro Paese sono perfettamente in linea con la stagionalità del virus e sotto stretta sorveglianza: 15 focolai in allevamenti commerciali e 5 in quelli rurali, un dato pressoché identico a quello del 2024.
«La filiera agisce con tempestività e rigore, applicando stringenti protocolli di biosicurezza, controlli serrati sulla movimentazione e piani di contenimento rapidi», afferma l’associazione. A rendere possibile questo livello di risposta è anche il Piano strategico nazionale per l’influenza aviaria, sviluppato con il ministero della Salute e coordinato dall’Istituto Zooprofilattico delle Venezie. Il piano si fonda su prevenzione, sorveglianza attiva, mappatura del rischio e uso mirato della vaccinazione.

Consumo di carne e uova sicuro: «nessun rischio per la salute umana»
Nonostante la portata dei focolai tra gli uccelli selvatici, le autorità sanitarie italiane ed europee concordano: non esiste alcun pericolo per la popolazione legato al consumo di carne avicola o uova. «La trasmissione all’uomo è un evento estremamente raro e il consumo di prodotti avicoli non rappresenta alcuna minaccia», ribadisce Unaitalia, che invita a non cedere ad allarmismi infondati.
Anche l’Efsa conferma che il rischio di contagio per l’essere umano in Europa è classificato come basso. Persino il recente decesso registrato negli Stati Uniti – primo caso umano di H5N5 – non modifica questa valutazione. Le infezioni umane da virus aviari sono casi isolati e perlopiù collegati a contatti diretti e prolungati con animali infetti, una condizione che non riguarda la popolazione generale né il consumo di alimenti.
Biosicurezza e prevenzione: le contromisure che funzionano
In risposta all’incremento dei casi, le istituzioni raccomandano di intensificare le misure di prevenzione. L’Efsa sottolinea l’urgenza di implementare sistemi di biosicurezza efficaci, capaci di bloccare sul nascere l’introduzione del virus negli allevamenti. Fondamentali anche il monitoraggio continuo degli animali domestici, la gestione del territorio sulla base delle zone a rischio e la rimozione tempestiva delle carcasse di uccelli selvatici, per ridurre la possibilità di trasmissione ad altri volatili o a mammiferi.
L’approccio italiano, basato sulla sinergia pubblico-privato, rappresenta un esempio virtuoso in Europa. Il settore avicolo, sostenuto da normative rigorose e da un’attività di sorveglianza costante, dimostra che la prevenzione funziona quando è integrata, tempestiva e capillare. In un contesto delicato come quello attuale, questa prontezza è l’arma più efficace per proteggere sia la salute animale che quella pubblica.

