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Digiuno intermittente: un’arma contro l’Alzheimer?

Digiuno intermittente: un’arma contro l’Alzheimer?
Photo by geralt – Pixabay
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Secondo la dott.ssa Desplats, questo regime alimentare aiuta a regolare il ritmo circadiano, migliorando sonno e memoria nei pazienti.

Digiuno intermittente: un’arma contro l’Alzheimer?
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Un recente studio ha acceso i riflettori sul potenziale del digiuno intermittente come alleato nella lotta contro l’Alzheimer. Questo regime alimentare potrebbe contribuire a rallentare o addirittura invertire i segni della malattia, migliorando la funzione cognitiva e limitando l’accumulo di proteine amiloidi, segni distintivi del morbo. Ma come funziona realmente e cosa hanno scoperto i ricercatori?

La spiegazione della dott.ssa Desplats

La ricerca ha messo in luce come consumare i pasti entro una finestra temporale di 10 ore possa non solo proteggere dalla demenza, ma anche alleviarne i sintomi. La neuroscenziata Dott.ssa Paula Desplats dell’Università della California a San Diego ha guidato lo studio, spinta dalla sua esperienza personale: «Purtroppo l’Alzheimer ha toccato la mia famiglia e ho sempre voluto fare scienza traslazionale e in qualche modo raggiungere i pazienti», ha dichiarato. Questo tipo di alimentazione, facile da integrare nella quotidianità, potrebbe rappresentare una nuova strategia difensiva contro la progressione della malattia.

Ma cosa rende il pasto a orari limitati così efficace? Gli scienziati hanno osservato che ben l’80% dei pazienti Alzheimer sperimenta disfunzioni del ritmo circadiano, tra cui problemi di sonno e prestazioni cognitive ridotte durante la notte. Spesso si manifestano stati di confusione che espongono i pazienti a rischi maggiori, richiedendo un supporto assistenziale più intenso. Il digiuno circadiano, variante del digiuno intermittente, propone di concentrare l’assunzione di cibo in un arco di tempo durante le ore più attive del giorno, seguito da un lungo periodo di digiuno.

Alzheimer e ritmo circadiano: una connessione inaspettata

Il collegamento tra il ritmo circadiano e l’Alzheimer rivela una prospettiva intrigante. La dott.ssa Desplats ha commentato: «Abbiamo ipotizzato che queste interruzioni circadiane osservate nelle persone con Alzheimer fossero il risultato della neurodegenerazione, ma potrebbe essere il contrario». Il loro studio, pubblicato su Cell Metabolism, ha esaminato comportamenti alimentari diversi in un gruppo di topi geneticamente predisposti all’Alzheimer. I soggetti sperimentali hanno rispettato una rigorosa finestra di sei ore per il consumo di cibo e mostrato, alla fine del test, significativi miglioramenti cognitivi.

I risultati sono stati promettenti: i topi sottoposti al regime di digiuno hanno evidenziato cambiamenti positivi in decine di geni legati all’Alzheimer, registrando un netto miglioramento nel sonno e nelle prestazioni cognitive. Degno di nota è stata la riduzione delle molecole amiloidi esistenti e una diminuita formazione di nuove. La Desplats ha osservato che: «Abbiamo iniziato a vedere che anche le placche amiloidi preesistenti hanno iniziato a frammentarsi e a ridursi di dimensioni», suggerendo che regolare il ritmo circadiano potrebbe essere un mezzo efficace per controllare la patologia.

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Benefici aggiuntivi del digiuno intermittente

Oltre a limitare l’avanzamento dell’Alzheimer, il digiuno intermittente offre ulteriori benefici legati al benessere generale. Questo stile di vita può contribuire a ridurre la pressione arteriosa e a migliorare livelli di insulina e glucosio nel sangue, diventando un utile alleato anche per chi lotta contro il diabete. Celebrità come Beyoncé e Hugh Jackman, tra gli altri, hanno abbracciato questo regime, evidenziandone i benefici non solo estetici ma anche per la salute.

Tuttavia, è cruciale ricordare che pur fruendo di promesse, queste scoperte necessitano di ulteriori approfondimenti e test clinici su larga scala per confermare la fattibilità umana dell’intervento. Ad ogni modo, i primi segnali sono decisamente incoraggianti e indicano una nuova luce all’orizzonte nella battaglia contro una delle malattie neurodegenerative più temute.