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Apnee notturne e rischio ictus: il legame nascosto che colpisce milioni di persone

Apnee notturne e rischio ictus: il legame nascosto che colpisce milioni di persone
Photo by cuncon – Pixabay
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Una nuova ricerca mette in luce un collegamento allarmante tra la sindrome delle apnee ostruttive del sonno (Osas) e gravi conseguenze neurologiche come ictus e demenza. Un rischio che resta sottovalutato ma che merita attenzione, diagnosi e prevenzione.

Apnee notturne e rischio ictus: il legame nascosto che colpisce milioni di persone
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Le apnee notturne non sono solo un disturbo fastidioso: secondo uno studio pubblicato su Jama Network Open dai ricercatori del Korea University Ansan Hospital, rappresentano un fattore di rischio concreto per la salute del cervello. Osservando per otto anni un campione di quasi 1.500 individui, i ricercatori hanno scoperto che chi soffre di apnee ha un rischio 2,14 volte maggiore di sviluppare microemorragie cerebrali.

Queste lesioni, pur essendo spesso silenziose, nel tempo possono aumentare significativamente la probabilità di ictus e declino cognitivo. Il pericolo cresce soprattutto nei pazienti che registrano almeno 15 episodi di apnea all’ora, per i quali il rischio cumulativo sale del 7,25% in otto anni.

“Dato che l’Osas è un fattore di rischio modificabile, la patologia da moderata a grave dovrebbe essere un obiettivo prioritario per la diagnosi precoce e la prevenzione dei futuri eventi cerebrovascolari e del conseguente declino cognitivo”, ha spiegato il professor Stefano Di Girolamo, otorinolaringoiatra e docente presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata.

Una condizione sottodiagnosticata che colpisce milioni di italiani

Nonostante la sua diffusione, l’Osas è una delle patologie respiratorie più trascurate. In Italia si stima che circa sette milioni di adulti soffrano di apnee notturne, con due milioni di casi gravi. Eppure, solo il 4% delle persone riceve una diagnosi, lasciando oltre l’80% dei casi nell’ombra.

La fascia d’età più colpita è quella compresa tra i 30 e i 69 anni, dove la prevalenza stimata raggiunge il 20,5%. Su scala globale, la situazione appare ancora più vasta: si calcola che siano circa 935 milioni le persone colpite da apnea ostruttiva del sonno.

Questi numeri mostrano un quadro chiaro: si tratta di un’emergenza sanitaria silenziosa, che necessita di maggiori strumenti di diagnosi precoce e consapevolezza diffusa.

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Come le apnee notturne danneggiano il cervello

La scarsa ossigenazione notturna è uno degli effetti più insidiosi dell’Osas. Uno studio pubblicato su Brain and Behavior ha evidenziato che nei pazienti affetti, il cervello — in particolare la corteccia frontale, sede della memoria di lavoro — fatica a estrarre in modo efficiente l’ossigeno dal sangue.

Questa condizione, chiamata ipossia intermittente, compromette le funzioni cognitive e rappresenta un potenziale biomarcatore per il declino mentale. “I risultati di questi studi aggiungono tasselli fondamentali al quadro clinico dell’Osas, legando direttamente le apnee notturne al rischio neurologico cronico, come la demenza”, ha spiegato Di Girolamo.

Secondo lo specialista, sintomi comuni come russamento forte e sonnolenza diurna non vanno sottovalutati. “Devono essere riconosciuti come segnali d’allarme e non come semplici disturbi. La polisonnografia è l’esame diagnostico chiave. Trattare l’Osas non significa solo dormire meglio, ma proteggere attivamente il cervello”.

Le terapie: dalla perdita di peso alla Cpap

Il trattamento dell’Osas parte da un approccio personalizzato. Nella maggior parte dei casi, si riscontra una correlazione con obesità o sovrappeso, per cui la perdita di peso rappresenta il primo passo terapeutico.

In ambito clinico, il metodo più diffuso è l’utilizzo della Cpap (Continuous Positive Airway Pressure), una maschera respiratoria che mantiene aperte le vie aeree durante il sonno.

Nei casi più complessi, si ricorre a interventi chirurgici mirati, modulati in base alla sede dell’ostruzione: possono interessare il naso, il cavo orale o la zona della faringe. Anche in questo ambito, la diagnosi precoce fa la differenza: individuare il problema in tempo permette di evitare complicazioni a lungo termine.