Una nuova ricerca italiana svela un gene coinvolto nel morbo di Alzheimer, aprendo la strada a possibili soluzioni terapeutiche inaspettate.

Alzheimer: una sfida globale
La malattia di Alzheimer oramai non è un semplice problema di salute, ma una crisi sanitaria mondiale. Attualmente, questa condizione è la principale responsabile di severi deficit cognitivi e la sua gravità aumenta a ritmi allarmanti. Si stima che entro il 2030 il morbo colpirà oltre 78 milioni di persone in tutto il mondo. In Italia, secondo i dati previsti per il 2024 dall’Osservatorio demenze dell’Istituto Superiore di Sanità, circa 1.100.000 individui sono affetti da demenza; di questi, tra il 50% e il 60% soffre di Alzheimer, che coinvolge approssimativamente 600 mila persone. Inoltre, vi sono circa 900.000 persone che convivono con disturbi neurocognitivi minori, noti come Mild Cognitive Impairment.
Scoperta di un nuovo gene: passo avanti nella ricerca
Un progresso significativo nella ricerca contro l’Alzheimer viene dal team dell’Ospedale Molinette di Torino, insieme ad altri gruppi di studiosi italiani. Questi ricercatori hanno fatto una scoperta importante, pubblicata su Alzheimer’s Research & Therapy: hanno individuato un nuovo gene, GRIN2C, coinvolto nella malattia. Questa rivelazione deriva dall’analisi di una famiglia italiana colpita da Alzheimer ad esordio senile, dove le mutazioni nel gene codificante il recettore NMDA del glutammato sono risultate decisive. “Il glutammato”, afferma il Professor Innocenzo Rainero dell’Ospedale Molinette e dell’Università di Torino, “è il principale eccitatore del nostro sistema nervoso centrale ed è implicato nei meccanismi di eccitotossicità, provocando una sofferenza neuronale quando in eccesso, conducendo alla morte cellulare”.
Glutammato la soluzione?

Secondo la dottoressa Rubino, coordinatrice dello studio presso l’ospedale Molinette, il GRIN2C potrebbe essere una causa rara di Alzheimer. Tuttavia, l’importanza maggiore risiede nel riconoscimento del ruolo dei processi di eccitotossicità correlati al glutammato nello sviluppo della malattia. La domanda cruciale è: come possiamo sfruttare questa conoscenza per intervenire terapeuticamente? Alcuni farmaci esistenti, sebbene ancora poco studiati, agiscono proprio su questi recettori. La recente scoperta è un propulsore per l’ideazione di nuovi farmaci, capaci di attenuare l’eccitotossicità cerebrale, rallentando la degenerazione provocata dall’Alzheimer.
L’approccio multidisciplinare: una via necessaria
Non si tratta solo di farmaci: l’Alzheimer deriva da una complessa interazione tra genetica e fattori ambientali come ipertensione, obesità, diabete, depressione e isolamento sociale. Rainero spiega che questi fattori contribuiscono all’accumulo nel cervello di proteine tossiche come la beta amiloide e la tau, elementi chiave della neurodegenerazione. Affrontare l’Alzheimer implica un approccio multilaterale: “non esisterà mai una cura unica”, afferma. La prevenzione dovrà agire su diversi fronti, seguendo le indicazioni dell’OMS: praticare attività fisica, rinunciare al fumo e agli alcolici, seguire una dieta equilibrata e, soprattutto, incoraggiare la diagnosi precoce per prevenire la comparsa della malattia. L’isolamento sociale resta un rischio alto, così come condizioni fisiche che lo favoriscono, come sordità o cecità. Attività che stimolano la corteccia cerebrale, come la lettura e vari hobby, diventano alleati preziosi nella lotta contro questo nemico subdolo.